martedì 10 luglio 2007

Umorismo inglese: resoconto di un incontro

Come già anticipato alcuni giorni fa, ieri, presso la libreria Feltrinelli di Firenze, lo scrittore inglese Jonathan Coe ha incontrato i suoi lettori per presentare il nuovo romanzo La pioggia prima che cada. Federico BatiniSollecitato dalle domande di Federico Batini , Coe ha raccontato la genesi del romanzo e le sue evidenti e profonde differenze con quanto scritto finora. Con la pubblicazione di Circolo chiuso aveva avuto infatti forte la percezione che anche per la sua scrittura e per il suo modo di affrontare il mestiere di scrittore si fosse effettivamente chiuso un cerchio. Perciò al momento di avviare questo nuovo lavoro aveva perfettamente chiaro quello il nuovo romanzo sarebbe e non sarebbe stato. Ad esempio non avrebbe affrontato tematiche a sfondo politico e sociale, non avrebbe avuto alcun spunto umoristico, ma al contrario sarebbe stato sicuramente un romanzo breve, dove grande spazio era riservato alle descrizioni visive, che fossero paesaggi, persone fisiche... Anche perchè ha confessato di essere un pessimo osservatore e di avere un'altrattanto pessima memoria visiva e quindi questo nuovo aspetto rappresentava in fondo anche una specie di sfida con se stesso. Ecco quindi l'idea di ricostruire la storia di tre generazioni di donne attraverso la descrizione di venti fotografie. In realtà all'inizio del libro aveva pensato ad una cinquantina di fotografie, ma poi si era reso conto dell'onerosità del lavoro e soprattutto del fatto che ciò era in netta antitesi con la volontà di scrivere un romanzo piuttosto breve.
Alcune parti del romanzo poi prendono spunto da persone reali effettivamente incontrate o da fatti realmente accaduti a persone a lui vicine. Imogen ad esempio si ispira ad una ragazzina incontrata al matrimonio di un amico all'incirca una ventina di anni fa; mentre l'allontanamento di Rosamond a Warden Farm si ispira all'allontanamento subito da sua madre durante la seconda guerra mondiale che, proprio come la protagonista del romanzo, era stata mandata a vivere ad una trentina di chilometri da Birmingham da alcuni parenti.
Francesco BottiA questo punto l'attore Francesco Botti della Scuola di narrazioni Arturo Bandini ha letto un primo brano - l'inizio della registrazione di Rosamond - tratto dal nuovo romanzo, del quale (dopo averci meditato a lungo) ho deciso di inserire il testo:

"Cara Imogen, spero che tu sia la persona che sta ascoltando queste parole. Temo di non poterla considerare una certezza, perchè sembra proprio che tu sia sparita. Ma io confido che il fato - e ancor più l'ingegnosità di mia nipote Gill - provvederà a che queste cassette, alla fine, arrivino a te. Forse dovrei dire di più sull'argomento... ma mi ha preoccupato, negli ultimi anni, che tu non sia più riapparsa nella mia vita. Confesso che tendo a leggerlo come un brutto segno, ma indubbiamente sono più incline a pensieri cupi in questo particolare momento in cui la mia fine è così - bè, così palpabilmente vicina. Sono sicura che c'è una spiegazione logica. Più d'una, quanto a questo. Con ogni probabilità, quando la tua famiglia - la tua nuova famiglia intendo (non riesco a considerarli come la "tua" famiglia, nemmeno dopo tutto questo tempo, il che probabilmente è sciocco da parte mia) - quando loro, più di vent'anni fa, decisero che tu non dovevi avere più nessun contatto con noi - con me, per la precisione, dato che ero l'unica a mantenere i contatti con te a quell'epoca - sarebbero stati in un'ottima posizione per andare fino in fondo alla cosa. Tu eri molto giovane. C'era la tua invalidità. (Ci è ancora consentito usare questa parola, al giorno d'oggi?) Sarebbe stato abbastanza facile troncare tutti i legami e bruciare tutti i ponti. E forse è esattamente ciò che fecero. Distrussero tutte le lettere e gli altri documenti, buttarono via tutte le fotografie. Cose del genere avrebbero rappresentato una minaccia per loro. E' vero che non saresti mai riuscita a vedere quelle fotografie, dopotutto, ma c'era sempre la possibilità che un giorno qualcuno te le descrivesse, giusto? E questo, Imogen, ci porta dritti al punto, al motivo per cui ti sto parlando adesso. Mi sto avvicinando alla fine della mia vita e per ragioni che, spero, ti diverranno chiare nell'ascoltare questa registrazione, provo un obbligo nei tuoi confronti, il senso di un dovere che non è ancora stato pienamente assolto. Ci sono vari modi in cui potrei liberarmi di questa fardello. Naturalmente ti lascerò del denaro. Questo va d sé. Ma ci sono cosa che non sono altrettanto facili da fare. Io ti devo anche qualcos'altro, qualcosa di più prezioso, qualcosa che, nel senso più letterale della parola, suppongo, è inestimabile. Quello che voglio tu abbia, Imogen, più di ogni altra cosa, è il senso della tua storia, il senso della tua provenienza, e delle forze che ti hanno creata. Mi sembra che, priva di questo senso, saresti in grande svantaggio, uno svantaggio reso ancor più grave dagli altri tuoi svantaggi. Uno dei modi in cui la maggior parte delle persone, soprattutto i giovani, acquisiscono questo senso di sé è guardando le fotografie: fotografie che li ritraggono quando erano bambini, o fotografie dei loro genitori, dei nonni e anche di parenti più vecchi. Ma questo tu non hai mai potuto farlo. Dico "mai", ma forse c'è stato un tempo, prima che perdessi la vista, in cui tua madre ti mostrò una o due cose del genere. A quell'epoca, però, dovevi essere molto piccola - tre anni - e ho seri dubbi che abbiano potuto lasciare un'impronta su una mente così giovane e ancora poco sviluppata. Dopo d'allora, non deve esserci stato più niente. Ed è proprio per questo che farò il possibile, se non è troppo tardi, per ovviare alla situazione. Ci sono centinaia di fotografie che avrei potuto scegliere, Imogen. Centinaia e centinaia, alcune delle quali risalgono al tempo di guerra e anche oltre. Qualche anno fa, dopo la morte della mia amica Ruth, feci una cernita scartando quelle che non volevo tenere. E negli ultimi giorni ho guardato quelle che ho tenuto, cercando di decidere quali dovevo mettere da parte adesso, e provare a descrivertele. Alla fine, ne ho selezionate venti. Venti sembra un numero affrontabile, bene o male. Venti scene della mia vita, principalmente, perché anche di questo, immagino, mi propongo di parlarti: della storia della mia vita - fino al momento in cui tu la lascisti, poco dopo avervi fatto la tua prima apparizione. Spero che non ti sembrerà del tutto irrilevante. Certo, a volte mi capiterà di divagare, ma tutte le cose che ti racconterò sono collegate tra loro, almeno nella mia mente, e se non riuscirò a fartelo capire, avrò fallito. In ogni caso, cercherò in tutti i modi di descriverti qualunque cosa io vedo nelle fotografie. Voglio tu sappia che aspetto avevano le persone che ti hanno preceduta; le case in cui vivevano, i posti che visitavano. Se avari la possibilità di sapere queste cose, se potrai immaginarle dentro la tua testa, questo ti dirà... ebben, ti darà qualcosa, spero. Ti darà un contesto per capire le cose difficili, le cose dolorose che ascolterai alla fine. Perché c'è una storia che tu non conosci, Imogen. Una storia che riguarda la tua famiglia, e me e, cosa ancor più importante, riguarda te. Forse i tuoi _ le persone che ti hanno cresciuto, intendo - ti hanno raccontato qualcosa. Distorcendola, probabilmente. Ma loro non possono sapere la verità, perché solo io la conosco. E adesso, spero, la conoscerai presto anche tu". (pp.32-34)

E proprio ripartendo dal tema delle fotografie Coe ha raccontato che una delle sue figlie ha una vera e propria passione - lui l'ha definita mania - per le fotografie e gli album di famiglia e obbliga lui e la moglie a riguardare foto su foto di quando erano giovani, del matrimonio... Questo lo porta molto spesso a stupirsi di sé, a ritrovarsi ad osservare una persona in cui talvolta non si riconosce, a riflettere sul tempo, sullo scorrere del tempo, sulle opportunità colte o non colte. Lo scorrere del tempo che poi è uno dei temi fondamentali del nuovo romanzo, come lo era stato a suo tempo anche per un libro molto amato dai suoi lettori italiani come La casa del sonno. Alla domanda di Federico Batini sulle difficoltà incontrate nell'affrontare un romanzo fortemente al femminile dove accanto a marginali figure maschili la narrazione è tutta incentrata su tre generazioni di donne, Coe ha risposto di essere molto abituato all'universo femminile dovendo dividere la propria quotidianità con una moglie e due figlie femmine... aggiungendo inoltre che molto spesso durante la promozione del romanzo gli è stata fatta questa domanda. E la cosa lo ha fatto sorridere. Nei suoi romanzi precedenti infatti si è trovato ad affrontare figure molto estreme come stupratori, trafficanti, pervertiti, killer ma nessuno mai gli ha chiesto quali fossero state le difficoltà incontrate nell'approccio a personaggi di questo tipo, mentre in molti si sono interessati e stupiti del suo approccio all'universo femminile.
A questo punto abbiamo ascoltato un'altro brano letto da Francesco Botti, che poi è il brano che dà il titolo al romanzo.

"Quelle tre settimane in Francia furono indubbiamente le più felici della mia vita, e tutte le cose belle che le caratterizzarono sono cristallizzate in questa foto, e nella canzone Bailero, che non manca mai di evocare le immagini di quel lago, e quel prato, dove restammo sdraiate per tutto il pomeriggio, nell'erba alta tra i fiori selvatici, mentre Thea giocava sulla riva. Non c'è niente che si possa dire, immagino di una felicità perfetta, impeccabile e senza ombre; niente, salvo la certezza che dovrà finire. Al calar della sera, l'aria non divenne più fresca, ma più densa e umida. Avevamo bevuto del vino, e mi sentivo la testa pesante, intorpidita. Credo di essermi addormentata e, quando mi svegliai, vidi che Rebecca era ancora sdraiata accanto a me ma aveva gli occhi aperti, e c'era un movimento veloce dietro il suo sguardo, come se stesse seguendo una rapida catena di pensieri intimi. Quando le chiesi se andava tutto bene, si girò e mi sorrise, il suo sguardo si addolcì e mi sussurrò parole rassicuranti. Mi baciò, poi si alzò e scese verso la riva dove Thea stava raccogliendo sassolini sistemandoli in pile secondo un sistema eccentrico tutto suo. Andai a raggiungerle, ma Rebecca non si girò quando sentì i miei passi sui ciottoli. Si schermò gli occhi, guardò le montagne e disse: "Guarda quelle nuvole. Ci sarà un bel temporale se vengono da questa parte". Thea sentì l'osservazione: era sempre molto rapida nel notare i cambiamenti d'umore - restavo sorpresa, ogni volta, nell'accorgermi di quanto fosse sensibile, pronta a recepire gli stati d'animo degli adulti. "Per questo hai l'aria triste?" si sentì in dovere di chiedere. Rebecca si girò. "Chi io? No, non mi dispiace la pioggia estiva. Anzi mi piace. E' il tipo che preferisco." "Il tuo tipo di pioggia preferito?" disse Thea. Ricordo che aveva la fronte aggrottata, mentre rifletteva su queste parole, poi annunciò: "Be', a me piace la pioggia prima che cada". rebecca sorrise della trovata, ma io (in modo molto pedante, suppongo) dissi: "Però prima che cada non è proprio pioggia, tesoro". "E allora cos'è?" disse Thea. E io spiegai: "E' solo umidità. Umidità nelle nuvole". Thea abbassò gli occhi e si concentrò, ancora una volta, a scegliere i ciottoli sulla spiaggia: ne raccolse due e prese a batterli uno contro l'altro. Il suono sembrava darle piacere. Non mi arresi: "Sai, Thea, non esiste una cosa come la pioggia prima che cada. Deve cadere, altrimenti non è pioggia". Era un principio stupido su cui insistere con una bambina, e mi pentii di aver comnciato. Ma Thea sembrava non avere alcuna difficoltà ad afferrarlo, semmai il contrario - perché dopo qualche minuto mi guardò e scosse la testa con aria di commiserazione, come se stesse mettendo a dura prova la sua pazienza, dover discutere di questioni del genere con una ritardata. "Certo che non esiste una cosa così," disse. "E' proprio per questo che è la mia preferita. Qualcosa può ben farti felice, no? Anche se non è reale". Poi corse verso l'acqua, con un gran sorriso, felice che la sua logica avesse riportato una vittoria così sfacciata. Il temporale non arrivò mai fino a noi. Lo guardammo scoppiare sulle montagne distanti, e poi spostarsi a est, ma le sponde del lago riuscirono a sfuggirgli. Preparammo la cena e mettemmo a letto Thea. Presto il cielo fu di nuovo limpido e le stelle brillavano sopra di noi. La luna tracciò un sentiero d'argento sulla calma superficie del lago. Mentre Thea dormiva, Rebecca e io ci sedemmo sul ciglio dell'erba alta, proprio dove il prato digradava verso la spiaggia. Sedevamo fianco a fianco, con un altro bicchiere di vino in mano, appoggiate l'una contro l'altra. Io tenevo la testa sulla sua spalla. Il silenzio di quel luogo era assoluto, quasi inquietante. Ti costringeva a parlare in sussurri. Rebecca fu la prima a parlare. "Pensavo a quello che ti ha risposto Thea prima", mormorò. "Quando ha detto che qualcosa può farti felice, anche se non è reale." Risi e commentai: "Si, è una furbacchiona, quella bambina". "Ma tu pensi che sia vero?" chiese Rebecca; e c'era una strana nota d'insistenza nella sua voce. Non la capivo. "Cosa vuoi dire?" "Voglio dire..." Rebecca esitò, come impaurita, e come se dar voce a quella paura equivalesse in qualche modo a conferirle forma e sostanza. "Insomma, questo non è reale, giusto? Quello che abbiamo noi tre. Non è reale".

Coe, commentando questo brano dal quale prende il titolo il romanzo, ha raccontato che solitamente sceglie il titolo dei suoi romanzi subito, prima quasi di iniziare a scrivere. In questo caso invece aveva quasi scritto i tre quarti del testo e nessuno tra i titoli a cui aveva pensato, e che aveva sottoposto anche al giudizio degli amici, gli era sembrato per un verso o per un altro appropriato. La scelta alla fine era stata come un colpo di fulmine, una coincidenza. Di sera infatti, sul tardi, ascoltando il suo l'Ipod in modalità random era partita una canzone dal titolo "The rain before it falls" e subito aveva capito che quello era il titolo giusto. D'altronde è molto colpito dalle coincidenze. Sempre la modalità random ha fatto sì che proprio mentre arrivava a Firenze, nel pomeriggio, la casualità gli abbia fatto ascoltare un pezzo strumentale che da molto tempo non gli capitava di ascoltare e che aveva comprato proprio a Firenze nel 1979. Federico Batini gli ha ricordato allora che la musica è sempre molto presente in tutti i suoi romanzi e gli ha chiesto se ascolta musica mentre scrive. Si, ascolta molta musica e la sua frustrazione è proprio che i lettori non possano ascoltare la stessa musica quando arrivano a leggere i suoi romanzi. Lui ad esempio, quando Francesco Botti leggeva il passo di Rosamond, Rebecca e Thea sulle sponde del lago sentiva nella sua testa un brano... Bailero, che era quello che ascoltava quando scriveva proprio quelle pagine. Gli fanno allora notare che proprio accanto a lui c'è un pianoforte e che se ne ha voglia può suonare e farci sentire qualosa. Non ci sono le variabili giuste per suonare... perchè per andare al pianoforte dovrebbe essere fortemente ubriaco e soprattutto dovrebbe essere solo! e lui oltre a sentirsi perfettamente sobrio, non è decisamente solo...
D'altronde alla musica è dedicato un bel passo, una libertà che l'autore si è regalato in questo nuovo romanzo; la descrizione del saggio di Catherine. Perchè le difficoltà che incontra nelle descrizioni visive svaniscono assolutamente quando ad essere descritti sono i suoni e i passaggi musicali.
Il tempo sta veramente finendo e un ascoltatore gli chiede perchè le storie d'amore dei suoi romanzi (si riferisce ai precedenti) sono sempre storie estreme, che si spingono spesso oltre i limiti. Coe risponde che non è così nell'ultimo romanzo dove viene raccontata proprio una bella storia d'amore... Poi però fa un sorriso, uno di quei sorrisi che celano una risata, e racconta di conoscere uno scrittore che scrive libri horror, dove vengono descritte le scene più truci che nella vita di tutti i giorni è una persona mite e docilissima.. e che è così anche per lui... scrive di emozioni estreme, di amori oltre il limite, per mascherare la sua anima da vero britannico, molto compassato...

Poi come tutti gli incontri con gli autori che si rispettino tutti in fila a farsi firmare il libro e tutti a casa... con la sensazione però di aver dedicato un bel tempo a se stessi... (se poi Feltrinelli, come dice, mette le foto della serata sul sito... le linko...ciao!)

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