martedì 9 ottobre 2007

G. Celati: I lettori di libri sono sempre più falsi (9 puntata)

[SEGUE]
In gennaio ha dovuto partecipare ad una conferenza stampa indetta dalla sua casa editrice, in cui veniva annunciata la pubblicazione d'una collana di nuovi romanzi a grande tiratura. Nella sala erano seduti conferenzieri, critici e scrittori, giornalisti e dirigenti della casa editrice, e qualche aspirante scrittore il cui romanzo stava per esser dato alle stampe.
Dopo le presentazioni ufficiali, un giovane esperto della casa editrice ha detto: "E' un momento d'espansione del mercato, e noi dobbiamo pensare a nuove iniziative che siano al passo con i tempi. Nel settore dei romanzi, i linguaggi forzatamente quotidiani e la cultura della crisi non convincono più nessuno. E' invece il caso di recuperare strumenti per una comunicazione più vasta, e mettere questo recupero sul versante dei sentimenti. Sappiamo cosa la gente vuol leggere, perché conosciamo bene i suoi sentimenti, e possiamo offrirglielo."
Un anziano conferenziere, come risvegliato dall'ebbrezza delle frasi, s'è alzato a dichiarare: "Oggi gli scrittori sono tutti noiosi, e non si capisce perché gli editori debbano continuare a stamparli. Ho letto qualche libro d'avanguardia, ma sono tutti delle vere porcherie!"
Un dirigente della casa editrice s'è affrettato a prender la parola, per calmare le acque: "Io non posso dir niente in proposito perché non è il mio settore specialistico. Rendiamoci però conto che al giorno d'oggi le avventure non sono più nei libri stampati, come ai tempi della nostra infanzia. Oggi sono nella finanza, nel giro dei soldi. Prendete quelli del leasing, per esempio. Le idee vengono solo dove ci sono dei soldi che ballano e bisogna sfruttare tutto. Ed è inutile fare delle teorie moralistiche, perché gli affari se non sono sfruttamento, cosa sono?"
Ancora prima che la conferenza finisse, la donna se n'è andata. Nel suo ufficio ha trovato ad attenderla un messaggio dello studente di letteratura, che voleva vederla per un motivo molto importante.

Avevano appuntamento in un bar, ma lo studente era ansioso e le è andato incontro passando in mezzo ai piccioni di piazza del Duomo. Stava per scoppiare un temporale, tutti i piccioni erano agitati e facevano voli brevi e frequenti, vagando a caso nell'aria. Appena ha visto di lontano la donna, lo studente le è corso incontro mostrandole un pacco di fogli e dicendo: "Ho scritto un romanzo sui lettori di libri! Un romanzo allegorico!"
Voleva raccontarglielo subito, lì all'impiedi tra i piccioni che cercavano di sfuggire alle raffiche di vento. Diceva d'essere molto contento del suo romanzo, che aveva scritto in un raptus di quindici giorni, durante i quali aveva finalmente capito tutto sui libri e sui lettori di libri. Fumava una sigaretta dietro l'altra, per l'eccitazione di aver finalmente capito tutto.
Il suo romanzo cominciava così: "c'è un giovane critico letterario che deve sempre partecipare a convegni di critici e scrittori, convegni con moltissima gente che parla per giorni e giorni senza mai smettere. Un bel mattino, svegliandosi nell'albergo dove è ospitato durante uno di questi convegni, gli succede una cosa davvero orribile.
Il critico letterario si sveglia con l'orrore per le frasi, per qualsiasi frase detta o scritta da lui o da altri. Non sa bene cosa gli stia succedendo, ma gli viene il desiderio d'esser legato saldamente a un letto, con la bocca e le orecchie tappate da cerotti per qualche anno, in modo da potersi rassegnare in silenzio all'orrore delle frasi che passano per la sua bocca, rendendolo fuori di sé. Perché sente con certezza che quando uno parla non è mai se stesso: che tutto quanto le frasi dicono non ha niente a che fare con chi le pronuncia o le scrive, e dipende soltanto dal terribile obbligo di dire qualcosa agli altri per tutta la vita.
Naturalmente, quando telefona alla direzione dell'albergo per chiedere di venir legato saldamente a un letto, con la bocca e le orecchie tappate da cerotti per qualche anno, nessuno riesce a capire quel suo orrore per le frasi, e lo prendono per un pazzo e lo ricoverano in una clinica.
Intanto sulla piazza del Duomo i piccioni investiti dalle folate di vento partivano a scatti, spesso si scontravano tra di loro e perdevano le piume. la donna s'era avviata di buon passo verso la galleria prospiciente la piazza in cerca d'un bar, e lo studente la inseguiva con l'ansia di raccontarle il seguito del suo romanzo.
Nel seguito del suo romanzo il critico è in una clinica, con la camicia di forza, e gli danno dei sedativi per farlo dormire a lungo. Durante quel lungo sonno lui fa un lungo sogno, che è la parte centrale del romanzo.
Sogna d'essere in una città nel bel mezzo d'uno sconfinato deserto. Qui capisce bene che gli abitanti si annoiano tutti a morte, perché vivere in mezzo al deserto e vedere sempre le dune di sabbia è piuttosto noioso. Il sognatore vede però per strada degli abitanti con un libro in mano, altri che leggono seduti sotto un albero, altri che vagano per sentieri del deserto, come sprofondati in un grande stupore. Dopo un po' capisce da cosa derivi quello stato di stupore: costoro sono lettori di libri, e sono così sprofondati nella stupefazione infinita a causa dei libri che hanno letto, delle storie o discorsi noiosissimi che hanno dovuto leggere nei libri.
Il sognatore capisce anche che questi stupefatti non possono più staccarsi dai libri, perché la stupefazione davanti alla assoluta noiosità dei libri li ha invasi, e non riescono più a riscuotersi. Ma osservandone alcuni si rende conto che, in quello stato di stupore, c'è anche una specie di felicità. Infatti, essendo la noia dei libri assoluta, li assolve da tutto il resto e rende irrilevante ogni altra noia, anche quella del deserto che hanno sempre davanti agli occhi.
Nella galleria psospiciente la piazza la donna e lo studente hanno bevuto un caffè in un bar, mentre lui continuava a raccontare il suo romanzo. Subito dopo la donna ha detto che doveva rientrare in ufficio. Intanto è cominciato a piovere, e adesso lo studente inseguiva la donna sotto la pioggia per raccontarle il resto della sua storia.
A questo punto la sua storia dice che, vagabondo per la città nel deserto, il sognatore incontra molti abitanti vestiti da cammellieri arabi, che vanno in giro con carri pieni di libri per venderli ai lettori stupefatti. Questi finti cammellieri arabi organizzano carovane per attraversare il deserto, e ogni volta portano indietro tonnellate di libri, che poi cercano di smerciare sia agli stupefatti che al resto della popolazione, senza far troppe differenze tra i libri che portano e le persone a cui li smerciano. Gli stupefatti non si accorgono di nulla, perché a loro basta trovare la felicità della noia assoluta, che mitiga la noia del deserto.
Ma ci sono altri abitanti vestiti da gangster, che protestano contro i mercanti. Costoro vanno in giro a dire che loro sanno distinguere i libri buoni da quelli cattivi, e non si fanno imbrogliare dai falsi cammellieri. Vanno in giro a dire che loro sanno cos'è il bello, il vero, e il buono; e non fanno che presentarsi a tutti come gente che sa giudicare queste cose, e dunque può giudicare qualsiasi cosa, e dunque può spiegare a tutti cosa si dovrebbe fare, dire, pensare. Poi questi giudicanti vanno anche a seccare gli stupefatti lettori, criticando la loro ottusa felicità, e spiegando loro cosa si dovrebbe leggere.
Nel suo sogno il sognatore adesso si ritrova ad un convegno di quei giudicanti vestiti da gangster, e qui ha la strana impressione d'esser morto. Ma da morto a quel convegno non riesce più a distinguere i falsi cammellieri dai falsi gangster, perché tutti sono vestiti da astronauti. Ascolta il lunghissimo discorso d'un astronauta che parla di libri e di scrittori, e quel discorso gli sembra così insopportabile che ad un tratto non resiste, si agita e urla: "Basta! Basta! Non se ne può più!", pur morto com'è. Agitandosi si sveglia in un albergo con l'orrore per le frasi, per qualsiasi frase detta o scritta da lui o da altri.
Si sveglia nello stesso albergo dove s'era già svegliato, con la stessa orribile sensazione. Mentre viene riportato nella stessa clinica, con la stessa camicia di forza, finalmente capisce cosa gli sta succedendo: capisce che quel ciclo di orrore per le frasi, e internamento in una clinica, esogno di una città nel deserto con stupefatti lettori di libri, dovrà ripetersi per lui all'infinito, finché qualcosa non verrà a liberarlo.
Nella piazza del Duomo i piccioni facevano voli sempre più storti e strampalati, non sapevano più dove andare sotto la pioggia, e lo studente a questo punto voleva sapere cosa la donna pensasse del suo romanzo, prima di portarlo ad un editore. Dunque le ha chiesto: "Allora, cosa ne dici? Tieni conto che è una visione, un romanzo allegorico, come si scrivevano una volta."
La donna s'è fermata sotto la pioggia e gli ha risposto: "Io non so come si scrivevano i romanzi una volta. Però se c'è Dio, di sicuro lui non è contento che ci facciamo troppe idee su quello che succede, e neanche che ascoltiamo quelli che parlano troppo. Io ti ho già ascoltato abbastanza, adesso vai per la tua strada e non telefonarmi più."
[CONTINUA]

Nessun commento: