martedì 27 maggio 2008

come una mano in un guanto

Questa cronaca di una vicenda capitatami a Genova negli ultimi tempi della dominazione nazifascita - che dedico ai compagni genovesi in riconoscimento della coraggiosa assistenza prestatami - non ha pretese letterarie né intendimenti di apologia o di polemica. Non quindi in difesa del suicidio, né atto di accusa contro i nemici e tanto meno valorizzazione del mio comportamento; ma semplice esposizione di fatti e chiarificazione di circostanze, alternate al ricordo di quei pensieri e stati d'animo che mi è sembrato indispensabile per comprendere un episodio forse di per sé interessante, non essendo di tutti i giorni l'esperienza di un suicidio mancato.
L'unico pregio di questa storia è dunque l'assoluta autenticità di quanto vi si narra; e tale autenticità ho osservato proprio per l'urgenza di verità che mi ha indotto a documentare in parole un'esperienza che poteva sembrare inenarrabile, a me che non faccio di mestiere lo scrittore. Alla stessa urgenza di verità attribuisco l'uso della prima persona, fastidiosa per ovvi motivi, ma che alla fine ho accettato per evitare inutili artifizi e muovermi con più naturale linguaggio.
Questo lavoro ha soprattutto il compito di fissare sulla carta quei dati che il tempo potrebbe contendere alla memoria, e di occupare in qualche modo le ore di una convalescenza forzatamente lunga e solitaria: non penso dunque che la mia cronaca possa interessare qualcuno fuori della cerchia delle persone - del resto già numerose - che vi sono direttamente interessate, o per aver partecipato ai fatti o per essersi trovate negli ambienti che in essa si richiamano.
Peraltro, sono pienamente convinto che il mio sacrificio non sia che il granello di sabbia di un deserto, e la mia vicenda altro non rappresenti se non lo sforzo e le sofferenze di un uomo tra lo sforzo e le sofferenze d'una moltitudine di uomini che come lui e più di lui hanno lottato e pagato, e i migliori dei quali non sono oggi in grado di scrivere nessuna storia.
Io credo però che sia dovere dei sopravvissuti il fare la storia dei propri «granelli di sabbia» perché anche chi, per particolari circostanze o diversa sensibilità, non abbia fatto parte di quella che più sopra ho chiamato moltitudine, sappia che cumulo di valori, in sangue terrori e attese, è costata questa nostra Liberazione e che cosa ci sia dietro al nome ancora oggi frainteso, disprezzato o rigettato con vacua sufficienza, di «partigiano».


Si può aggiungere qualcosa a questo breve preambolo che Luciano Bolis fece al suo racconto lungo Il mio granello di sabbia? Onestamente non lo so. C'è tutto. Vi si avverte la drammaticità della storia e contemporaneamente se ne ravvisa l'importanza. L'unicità di un granello di sabbia che si fa parte esemplare di un tutto.
Ma è apparenza. Questo preambolo non ti prepara a quello che leggerai. Non ti può preparare a quello che leggerai. Si avverte che la storia sarà drammatica, ma non si avverte davvero quanto questa sarà anche crudele, violenta. Quanti libri abbiamo letto sulla Resistenza, quante autobiografie. Personalmente tante. Per capire. Per ricordare. Per tante cose. Nessuna è come questa. Nessuna ti accartoccia lo stomaco così. Nessuna ti fa star male così. Nessuna ti entra come una mano entra in un guanto e ti rigira completamente. E dire che ero preparata che sapevo - o credevo di sapere - perfettamente a che cosa stavo andando incontro. Ma non basta l'immaginazione. La mia immaginazione non poteva certo arrivare a tanto.
Luciano Bolis fu fermato a Genova il 6 febbraio 1945, imprigionato e sottoposto a torture di ogni tipo perché parlasse. Ebbene Luciano Bolis non parlò. Luciano Bolis fece anzi una scelta estrema: tentò il suicidio per non essere costretto a parlare. Il mio granello di sabbia è il racconto di quei giorni ed è un racconto che non risparmia nulla e la crudeltà di certe immagini si può solo leggerla. E' un racconto che, con una scrittura estremamente semplice, ti arriva come una coltellata improvvisa da cui non c'è possibilità di difesa.
Credo però che questo libro vada letto. Proprio perché non si perda la memoria. Non si dimentichi chi la propria storia non ha potuto scriverla. Perché si continui a riflettere su quello che è stato. In un momento come questo poi in cui la memoria è più importante che mai.

Il mio granello di sabbia / Luciano Bolis ; introduzione di Giovanni De Luna. - Torino : G. Einaudi, 1995. - XXXIII, 99 p. ; 20 cm. - (Einaudi tascabili ; 272). - ISBN: 8806137913

2 commenti:

pb ha detto...

bon, questo lo prendo. :)

mastrangelina ha detto...

Purtroppo al momento è fuori commercio. Ho provato a ordinarlo in due librerie ma non son riusciti a trovarmelo. Anche su Ibs non è disponibile... però le biblioteche ce l'hanno (e lì vicino hai una biblioteca bellissima) ciao :)