mercoledì 21 maggio 2008

questo è rischiare


Stavamo arrivando all'albergo, esausti a forza di spassarcela sotto la neve, quando all'improvviso mi è venuto in mente: "Mi chiederà che lo inviti a salire nella mia stanza. Che gli offra qualcosa da bere, che gli mostri l'album delle fotografie, che ne so, uno qualsiasi di quegli imbrogli che inventano gli uomini per salire in camera". E allora ho pensato: "Lui sarà diverso. Non sarà come quelli che hanno fretta, non sarà come quelli che ti domandano se ti è piaciuto e si girano dall'altra parte e subito si addormentano. Macché! Sono sicura che non è uguale a nessun altro". Inoltre, molto in fretta mi son resa conto che non era dell'altra sponda, come voi dite sempre di quelli che sono diversi. Al contrario: è un vero uomo. Al punto che non mi ha proposto di salire nella mia stanza. Mi ha salutato sulla soglia con un paio di baci affettuosi sulle guance, e mai nella mia vita mi sono sentita così sola come quando se n'è andato. Il mattino dopo, insieme alla colazione, mi hanno portato un cesto di rose che non riuscivano a far entrare dalla porta, e un biglietto suo che diceva soltanto: "Che peccato!". Allora ho capito quello che non avevo mai voluto capire: che c'è un momento della vita in cui una donna sposata può andare a letto con un altro senza essere infedele.


Questo si chiama rischiare. Mi spiego: in questo breve testo teatrale Garcìa Marquez ha rischiato e a mio modestissimo avviso ha pure un po' vinto la sua scommessa. Mi spiego ancora meglio: cosa c'è di più banale (letterariamente, cinematograficamente e teatralmente parlando) di una scena in cui una moglie sfoga tutta la sua infelicità, le sue recriminazioni, le sue accuse ad un marito immobile, statico nel suo leggere il giornale? Che argomento c'è più trito e ritrito della fine di un matrimonio, con le sue acrimonie? Quale argomento è più battuto della sensazione di abitudine che si prova dopo molti anni di vita in comune, della sensazione di incomunicabilità, di sedentarietà? Probabilmente nessuno. E qui stanno il rischio e la bravura, affrontare un argomento così e farlo con maestria scrivendo il già detto mille volte come se in realtà non l'avesse ancora detto nessuno. Eppure gli ingredienti, i luoghi comuni, per annoiare c'erano proprio tutti: la fuga e l'idealismo giovanile, il matrimonio da due cuori e una capanna, la contrarietà delle famiglie d'origine e poi il recedere dell'uomo, il suo assuefarsi ad una vita agiata e di comodità, il suo assuefarsi alla sedentarietà, il tradimento che diventa quasi un secondo matrimonio. Eppure non annoia. Parte lento è vero, però non annoia. Anzi. Ci vuole un po' a sintonizzarsi sulla stazione giusta, a immergersi nell'immancabile aria di sogno tipica della letteratura sudamericana, ma quando lo fai Graciela diventa una donna viva lì davanti a te e da donna ne condividi gli slanci, gli sfoghi e pure le inevitabili contraddizioni. E alla fine vorresti essere sul quel palcoscenico al posto suo, con le scale del sassofono di Amalia Florida in sottofondo, per accenderlo tu quel fiammifero.
Non dico altro, al solito racconto anche troppo, voglio solo dire che in Italia questo testo è stato portato in scena dal regista Alessandro D'Alatri con Maria Rosaria Omaggio nel ruolo di Graciela.

Su youtube c'è un video dei ringraziamenti finali al Piccolo Teatro di Milano, non molto in realtà. Io voglio starci attenta perché se lo ripropongono in zona me lo vado a vedere, adesso son curiosa.


Diatriba d'amore contro un uomo seduto : monologo in un atto / Gabriel Garcìa Marquez ; traduzione di Angelo Morino. - Milano : A. Mondadori, 2007. - 75 p. - (Piccola biblioteca Oscar ; 553). - ISBN: 9788804573081

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