sabato 7 giugno 2008

la mano che non si può mordere si bacia

Avevo paura. Non mi è piaciuto avere tanta paura. Tu, - dice inatteso e alzando la voe, cercando di avere un tono più convinto, - tu sei diventata verde. Fai attenzione!
- Verde come?
- Verde di migrazione, povera mia. Il verde della denutrizione, quello tipico di chi ha le radici in aria. Fai attenzione, perché la malattia di cui ti sto parlando comincia così


Questo di Ornela Vorpsi è un libro strano. In realtà tutti i libri di Ornela Vorpsi sono un po' strani, molto frammentati, apparentemente caotici, ma alla fine belli, di una bellezza però che non si può spiegare, a tratti indecifrabile. Io li apprezzo molto per la capacità della autrice di cucire insieme con un esilissimo, ma consistente filo rosso, frasi, immagini, volti che si susseguono sulle pagine e ti accompagnano. Ma è una sensazione strana. Non so se regalerò mai un libro di Ornela Vorpsi, forse no: è troppo personale il mio giudizio, troppo legato al muoversi di corde interne, di sensazioni, che difficilmente si pensa di poter condividere.
Più o meno all'inizio dell'anno avevo letto Il paese dove non si muore mai, un romanzo dove ad essere cucite insieme erano i ricordi e le immagini dell'infanzia, dell'Albania, di tutto un popolo e della sua cultura. Ne ero rimasta fortemente colpita, così ora a distanza di mesi ho letto questo La mano che non mordi.
Questo è un libro sul ritorno più che sulla partenza; sulla sensazione di non essere pienamente dentro al mondo dove si è scelto di vivere e sulla sensazione di non appartenere più al mondo che, partendo, ci si è lasciato alle spalle. Sul senso di spaesamento e di conflitto interiore nel sentirsi senza un luogo proprio. Sulla difficoltà del partire e sull'impossibilità, talvolta, di tornare. L'occasione di un viaggio nei Balcani è infatti spunto per una serie di riflessioni, di incontri, di racconti che sono personali e collettivi al tempo stesso. E' l'occasione per parlare nuovamente la lingua dell'infanzia, per riassaporare i sapori (il byrek e la grappa albanese mi incuriosiscono molto ora), per sentire nuovamente gli odori conosciuti, per ripensare alla callosità dei piedi perché abituati a camminare direttamente sulla terra e al colorito verde tipico di chi è andato via. Per riflettere sulle differenze e su un paese, l'Albania, in tutte le sue caratteristiche più peculiari e in tutte le sue contraddizioni. Per sentirsi, per gioco, nuovamente Shqiptarke jedan (pezzetto d'albanese).

Sono moltissime le frasi che mi piacerebbe riportare qui, moltissimi i brani che ricorderò a lungo. Per cui ne inserisco solo alcuni, quelli che più mi hanno colpito di più*:

"Ormai sono una perfetta straniera. Quando si è così stranieri, si guarda il tutto in modo diverso da uno che fa parte del dentro. A volte, essere condannati a guardare dal di fuori suscita una grande melanconia. E' come recarsi ad una cena di famiglia e non poter partecipare; si frappone una gelida finestra. Di un vetro bello spesso, antiproiettile, anti-incontro: loro ti scrutano, ti riconoscono, ti fanno dei segni perché tu entri e li raggiunga, pure ti li vedi e rispondi con gli stessi gesti, ma la cena si consuma qui, si consuma così. Dopo poco tempo smettono di invitarti, si stancano, il pollo arrosto gli sorride, il pollo arrosto sfornato al momento giusto è una vera consolazione. Le loro parole sono inudibili. Il loro calore lontano. Tu rimani spetattore." (pp. 19-20)

"Guardavo con attenzione il suo viso, «guardavo» è dire poco, lo devo ammettere; l'ho sbirciato, osservato, letto spiato, contemplato, ammirato, fissato, sgranato, divorato: pelle bianca, capelli castani, occhi scuri e assenti, naso diritto e finemente disegnato, naso elegante per profumi sottili, labbra da mordere, la pelle ho detto che l'aveva bianca? Riprendo meglio: esangue è la sua pelle, pallida come la mia. Le sue mani che non hanno mai lavorato sono curate fino alla perfezione. Parlava inglese con un accento pesante, era alto e muscoloso. Bello, oh bello, poi odorava di uomo. Lo ascoltavo, e intanto pensavo: ecco, davanti a te hai uno di quelli che ti sventrano con la baionetta mentre lo sguardo rimane comunque assente - lui è di quelli che ti violentano sotto gli occhi della tua famiglia per poi spappolarti il cervello contro il muro di casa." (pp. 21-22)

"Mi sono resa conto che il byrek me l'ha fatto pagare un prezzo salato, ma non mi è nuova la voglia di fregare quelli che stanno meglio. Io vivo a Parigi, di sicuro sto meglio di lui - risultato: devo essere fregata anche se mi sta chiedendo un favore. Sono ancora là ad ascoltarlo, questè anche l'odissea del mio popolo, non posso andare via così sbattendo la porta come se niente fosse. Il byrek, il passato, l'Albania mi hanno portato là e là mi trattengono. Come giustamente si dice dalle nostre parti: il sangue non è acqua! Non puoi far finta di niente. Non puoi girare la testa e non ascoltare." (p. 80)

La mano che non mordi / Ornela Vorpsi. - Torino : G. Einaudi, 2007. - 86 p. - (L'Arcipelago ; 110). - ISBN: 9788806185268

* poi un'altra volta inserirò in un post a sé il brano del cane Luchino, perché l'ho trovato di una bellezza e di una crudeltà clamorosa e non volevo che tra tanto scritto si perdesse un po'.




poi scusate ma mi concedo una piccola divagazione tutta personale. Ecco come finisce il viaggio e il libro di Ornela:



Arrivata a casa, dovrò rianimare le stanze. Ho un rituale dopo ogni viaggio ed è la voce di Sarah Vaughan. Sdraiata sul pavimento, chiudo gli occhi e ascolto. E' qui che il mio viaggio finisce. Nelle sue note, lontano da tutto ciò che mi è vicino.


Anche io faccio così, non tanto (e non solo) quando torno da un viaggio, ma quando ho bisogno di ritrovarmi, mi sdraio a terra e ascolto una voce o uno strumento amico. Abitudini.

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