lunedì 2 febbraio 2009

P. Levi: Nichel (9 puntata)

[SEGUE]

Ma non è più tempo di folletti, di niccoli e di coboldi. Siamo chimici, cioè cacciatori: nostre sono «le due esperienze della vita adulta» di cui parlava Pavese, il successo e l'insuccesso, uccidere la balena bianca o sfasciare la nave; non ci si deve arrendere alla materia incomprensibile, non ci si deve sedere. Siamo qui per questo, per sbagliare e correggerci, per incassare colpi e renderli. Non ci si deve mai sentire disarmati: la natura è immensa e complessa, ma non è impermeabile all'intelligenza; devi girarle intorno, pungere, sondare, cercare il varco o fartelo. I miei colloqui settimanali col Tenente sembravano piani di guerra.
Fra i molti tentativi che avevamo fatti, c'era anche stato quello di ridurre la roccia con idrogeno. Avevamo disposto il minerale, finemente macinato, in una navicella di porcellana, questa in un tubo di quarzo, e nel tubo, riscaldato dall'esterno, avevamo fatto passare una corrente d'idrogeno, nella speranza che quest'ultimo strappasse l'ossigeno legato al nichel e lo lasciasse ridotto, cioè nudo, allo stato metallico. Il nichel metallico, come il ferro, è magnetico, e quindi, in questa ipotesi, sarebbe stato facile separarlo dal resto, solo o col ferro, semplicemente per mezzo di una calamita. Ma, dopo il trattamento, avevamo dibattuto invano una potente calamita nella sospensione acquosa della nostra polvere: non ne avevamo ricavato che una traccia di ferro. Chiaro e triste: l'idrogeno, in quelle condizioni, non riduceva nulla; il nichel, insieme col ferro, doveva essere incastrato stabilmente nella struttura del serpentino, ben legato alla silice ed all'acqua, contento (per così dire) del suo stato ed alieno dall'assumerne un altro.
Ma se si provasse a sgangherare quella struttura? L'idea mi venne come si accende una lampada, un giorno in cui mi capitò casualmente fra le mani un vecchio diagramma tutto impolverato, opera di qualche mio ignoto predecessore; riportava la perdita di peso dell'amianto delle Cave in funzione della temperatura. L'amianto perdeva un po' d'acqua a 150°C, poi rimaneva apparentemente inalterato fin verso gli 800°C; qui si notava un brusco scalino con un calo di peso del 12 per cento, e l'autore aveva annotato: «diventa fragile». Ora, il serpentino è il padre dell'amianto: se l'amianto si decompone a 800°C, anche il serpentino dovrebbe farlo; e, poiché un chimico non pensa, anzi non vive, senza modelli, mi attardavo a raffigurarmi, disegnandole sulla carta, le lunghe catene di silicio, ossigeno, ferro e magnesio, col poco nichel intrappolato fra le loro maglie, e poi le stesse dopo lo sconquasso, ridotte a corti mozziconi, col nichel scovato dalla sua tana ed esposto all'attacco; e non mi sentivo molto diverso dal remoto cacciatore di Altamira, che dipingeva l'antilope sulla parete di pietra affinché la caccia dell'indomani fosse fortunata.
Le cerimonie propiziatorie non durarono a lungo: il Tenente non c'era, ma poteva arrivare da un'ora all'altra, e temevo che non accettasse, o non accettasse volentieri, quella mia ipotesi di lavoro così poco ortodossa. Me la sentivo prudere su tutta la pelle: capo ha cosa fatta, meglio mettersi subito al lavoro.
[CONTINUA]

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