mercoledì 10 giugno 2009

[visioni] la prospettiva del tempo

E poiché avevo confessato al duca che sarei rimasto volentieri solo, per qualche istante, davanti ai quadri, egli si ritirò con discrezione, dicendomi che non dovevo far altro che raggiungerlo in salotto.
Solo che, lasciato a tu per tu con gli Elstir, dimenticai del tutto l'ora del pranzo; di nuovo, come a Balbec, avevo di fronte a me i frammenti di un mondo dai colori sconosciuti che altro non era se non la proiezione del modo di vedere tipico di quel grande pittore, un modo che le sue parole non erano minimamente in grado di tradurre. Le porzioni di parete coperte dai suoi dipinti, tutti omogenei tra loro, erano come le immagini luminose d'una lanterna magica che coincideva poi, in questo caso, con la mente dell'artista, e la cui singolarità sarebbe rimasta inconcepibile, finché ci si fosse limitati a conoscere l'uomo, vale a dire finché ci si fosse limitati a guardare la lanterna sistemata sopra la lampada, prima che vi fossero inserite le lastrine di vetro colorato. Fra i quadri, alcuni di quelli che sembravano più ridicoli alle persone di mondo mi interessavano più degli altri per il loro ricreare le illusioni ottiche dalle quali emerge la prova che non potremmo identificare gli oggetti se non facessimo intervenire il ragionamento. Quante volte, in carrozza, scorgiamo a pochi metri da noi l'inizio d'una lunga strada, mentre abbiamo davanti solo un tratto di muro violentemente illuminato che ci ha dato il miraggio della profondità! E allora non è logico - non per artificio di simbolismo, ma per un ritorno sincero alla radice stessa dell'impressione - rappresentare una cosa mediante un'altra che, nel lampo di un'illusione originaria, abbiamo scambiato per quella? Le superfici e i volumi sono, in realtà, indipendenti dai nomi d'oggetti che la nostra memoria impone loro dopo che li abbiamo riconosciuti. Elstir cercava di liberare ciò che, in un dato momento, sentiva, da ciò che sapeva; il suo sforzo era diretto, spesso, a dissolvere l'aggregato di ragionamento che chiamiamo visione. Coloro che detestano quegli "orrori" si stupivano dell'ammirazione di Elstir per Chardin, per Perroneau, per tanti pittori che loro, le persone di mondo, amavano. Non si accorgevano che Elstir aveva rifatto per suo conto, di fronte al reale (con l'indice particolare della sua inclinazione verso certe ricerche), lo stesso sforzo d'un Chardin o d'un Perroneau, e che, di conseguenza, quando smetteva di lavorare per se stesso, ammirava, in loro, tentativi dello stesso genere, quasi frammenti anticipati di qualche suo dipinto. Ma le persone di mondo non aggiungevano mentalmente all'opera di Elstir quella prospettiva del Tempo che permetteva loro d'amare o, perlomeno, di guardare senza disagio la pittura di Chardin. Eppure, i più vecchi avrebbero potuto riflettere che nel corso della loro vita avevano ben visto, man mano che scorrevano gli anni, la distanza incolmabile fra ciò ch'essi giudicavano un capolavoro di Ingres e ciò che avevano creduto destinato a restare per sempre un orrore (per esempio l'
Olympia di Manet) diminuire, sinché l'uno e l'altro non erano apparsi gemelli. Ma non si mette a frutto nessuna lezione, perché non si è capaci di risalire al generale e ci si immagina sempre di trovarsi al cospetto di un'esperienza che non ha precendenti nel passato. (M. Proust, La parte di Guermantes)

Ci sono pagine che sono più pagine di altre. Ecco questa per me è una di quelle. L'ho incontrata e riconosciuta subito. Letta e riletta, meditata e rimeditata. Trovo che abbia una bellezza evidente e conclusa che non cercherò né di motivare né di spiegare. Confesso di apprezzare la contemporaneità dell'arte. Ne apprezzo l'idea quando è un'idea forte e originale; ne apprezzo lo stile quando è strutturato e personale; ne apprezzo la provocarietà quando è motivata. Confesso di apprezzare moltissimo le teorie dell'arte, tutta quell'attività critica tanto spesso, a torto o a ragione, tacciata di pesantezza; tutta quell'attività dove invece si celano piccoli gioielli capaci talvolta di superare l'oggetto del discorso. Confesso però di non essere un'assolutista di nessuna teoria critica in sé, di non essere innamorata particolarmente di nessuna*. Ogni attività d'arte ha il suo tempo ma ha anche il suo essere fuori dal tempo ed è proprio questa prospettiva dilatata e contratta insieme del trascorrere, del passare del tempo e del consolidarsi degli stili che mi ha incantato nelle parole di Proust e che ne fanno una pagina di critica straordinariamente efficace. Sicuramente molto più di tante altre. E' stata questa capacità di superare il momento storico particolare ravvisando invece quegli attributi che rendono una bella opera d'arte attuale sempre a lasciarmi senza parole.
Per non accennare minimamente al fatto che una descrizione dello stile impressionista come si trova qui, è sinceramente rara e bella come una perla non coltivata.

* e vi giuro che un po' ne ho studiate

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