lunedì 23 luglio 2007

G. Celati: I lettori di libri sono sempre più falsi (1 puntata)

Come già anticipato pochissimi giorni fa ecco a puntate il racconto di Gianni Celati tratto da Quattro novelle sulle apparenze...

I LETTORI DI LIBRI SONO SEMPRE PIU' FALSI

Uno studente di letteratura venuto a Milano per seguire i corsi di letteratura all'università, ha cercato a lungo di comprendere cosa vogliano dire i libri, e cosa vogliano dire i professori che parlano di libri e di letteratura.
Appena sbarcato all'università aveva subito cominciato a sentirsi a disagio, perché tutti i discorsi che ascoltava durante le lezioni erano per lui incomprensibili. Inoltre si vergognava di provenire da un istituto tecnico-professionale, i cui studenti sono considerati inferiori a quelli che provengono dal liceo; e così spesso il nostro studente arrossiva.
A volte, non capendo neanche un decimo delle frasi d'un suo insegnante, arrossiva fino alle orecchie e doveva fuggire dall'aula. Cercava dunque un libro che potesse spiegargli di cosa parlano i libri e i professori.
Un giorno ha conosciuto quattro studenti napoletani e si è accorto che questi, grazie alla loro lunga esperienza di studenti falliti e fuori corso, erano giunti a farsi qualche idea su cosa succede nelle aule universitarie. Il nostro studente non era ancora riuscito a trovare un libro che gli spiegasse di cosa parlano i libri e i professori, e dunque s'è rivolto ai quattro napoletani, i quali ben volentieri hanno accettato di spiegargli le idee che loro d'erano fatte in materia.
Gli hanno detto che nelle aule universitarie ogni insegnante non fa che vantarsi d'aver capito benissimo i libri che ha letto, e che gli studenti debbono solo imparare a far la stessa cosa.
Il nostro studente ha cominciato allora ad osservare attentamente tutti i professori, e alla fine la spiegazione gli è parsa convincente. S'è dato qundi a cercar di imparare i discorsi e gli atteggiamenti dei suoi insegnanti, in modo da potersi anche lui vantare d'aver capito benissimo i libri in programma, e così sostenere qualche esame.
Sulle prime la cosa gli è parsa un po' difficile, per via di tutti i libri in programma che avrebbe dpvuto leggere; ma poi i quattro studenti napoletani sono venuti in suo soccorso spiegandogli come si fa. Gli hanno spiegato che da un libro bastava ricavare poche frasi di rilievo, in modo da poter opporre un'idea ad un'altra idea, e così mostrare di aver capito tutto. Anzi, secondo loro le frasi di rilievo non bisognava neanche ricavarle dal libro, bensì dall'introduzione che spiega di cosa parla quel libro, e questo era il metodo migliore.
Mettendo in pratica questi consigli, lo studente di letteratura è effettivamente riuscito a superare alcuni esami con buoni voti. A questo punto però gli è sorto un dubbio, sul quale ha rimuginato alcuni mesi, con la testa confusa. Il dubbio era questo: mentre per lui era ormai molto chiaro che i professori non parlano per vantare quello che c'è scritto nei libri, bensì soltanto per vantare se stessi di averlo capito, per lo stesso motivo non gli era affatto chiaro cosa ci fosse scritto nei libri, e dunque di cosa parlasse egli stesso quando ad un esame si vantava di averli capiti.
Bloccato da questo dubbio vagava per le strade pensandoci su, e senza più pensare agli esami che avrebbe dovuto sostenere. Finché un giorno ha trovato il coraggio di esporre ai quattro napoletani il suo problema, con queste parole: "Insomma, se i professori non fanno che parlare di quello che loro hanno capito, di cosa parlano i libri?"
I quattro gli hanno allegramente risposto di non saperne nulla, e la stessa cosa gli hanno risposto tutti gli altri studenti a cui ha sottoposto il problema, nonché due assistenti universitari piuttosto allibiti davanti ad una simile domanda. La
domanda però gli sembrava plausibile, e allora il nostro studente ha ricominciato a vergognarsi e arrossire, non solo perché non capiva, ma perché gli altri deridevano i suoi sforzi per capire.
La sua situazione di studente diventava sempre più insostenibile. Con tali dubbi in testa e vedendo che per gli altri tutto ciò non aveva senso, s'è quindi risolto ad abbandonare l'università ed a troncare ogni rapporto con le compagnie di studenti
assieme e cui viveva, per i quali i libri erano soltanto qualcosa che bisognava fingere di aver capito, fingendo di aver capito cosa avevano capito i professori, onde sostenere gli esami.
Ha deciso di trovare un posto dove potersi dare alla lettura di moltissimi libri per conto suo (senza dover ascoltare le vanterie dei professori), in modo da riuscire finalmente ad appurare di cosa parlassero e cosa volessero dire.

La lunga strada che porta alle periferie d'una metropoli è spesso deprimente, ma quasi sempre facile da percorrere: gli autobus partono tutti i momenti. Prendendo uno di quegli autobus, il nostro studente di letteratura è riuscito a trovare un alloggio poco costoso, in un quartiere agli estremi limiti del mondo abitato. Qui s'è messo subito a leggere molti libri che aveva raccolto, per cercar di comprendere cosa volessero dire e così trovare la sua strada nella vita.
Il minuscolo appartamento in cui s'è installato era da lui condiviso con una giovane donna senza professione, che come lui aveva pochi soldi da spendere. Anche questa donna aveva percorso la lunga strada delle periferie, dopo aver abbandonato il marito e insieme la professione di moglie, l'unica che avesse.
Quel lontano quartiere appariva spopolato, senza negozi, con cani che vagavano per le strade e pochissime macchine in circolazione. Per terra c'era sempre una fanghiglia rossastra e nell'aria una specie di polverone vagante, come se il vento
portasse fin lì la sabbia del deserto. Ma ciò dipendeva soltanto dagli scavi per estendere le tubature dell'acqua e del gas alle distese di nuovi palazzi che stavano sorgendo.
Dalle loro finestre i due vedevano soltanto le finestre d'altri palazzi simili a quello in cui abitavano, oppure carcasse d'auto ridotte ad una poltiglia arrugginita, in un vasto terreno conteso tra residuati metallici ed eserciti di erbe infestanti. Ma nei giorni di nebbia finalmente non vedevano più niente, spariva tutto fino all'orizzonte, e allora i due capivano solo d'esser lì, abitanti d'un grande palazzo, nel vasto mondo in cui anche loro erano comparsi come i lombrichi nella terra.
La casa sempre in disordine, uno disteso sul divano del soggiorno a leggere libri dalla mattina alla sera, l'altra seduta nel cucinotto a masticare chewing-gum sfogliando pile di giornali illustrati: ecco come lo studente di letteratura e la
giovane donna senza professione trascorrevano gran parte delle loro giornate, fino all'ora di cena. Non uscivano quasi mai perché avevano pochi solda da spendere, ma ogni tanto ascoltavano i rumori del mondo esterno, accorgendosi che fuori pioveva, che era finita l'estate, che c'era nebbia, che era autunno inoltrato.
Alla sera andavano a letto presto, dormivano molto e facevano lunghissimi sogni. Per entrambi dormire era così facile, la cosa più facile del mondo.
Certe sere lo studente si presentava borbottando in camera della giovane donna, spinto dal giovanile ardore di montarla. E lei lo accoglieva nel proprio letto oppure no, secondo le propensioni del giorno.
Nei grigi pomeriggio autunnali, la giovane donna a volte si stancava di sfogliare giornali illustrati e masticare chewing-gum da sola in cucina, e andava a sedersi nel soggiorno per guardare lo studente che leggeva libri. Quell'attività di leggere libri la incuriosiva, anche perché lei non riusciva mai a leggere una pagina fitta di parole senza stancarsi, rimaneva sempre confusa davanti a quelle linee stampate tutte uguali, che le davano un'impressione di noia e la scoraggiavano dalla lettura.
Quando andava nel soggiorno per guardare lo studente che leggeva libri, restava a lungo seduta in silenzio, ma alla fine le veniva sempre la curiosità di sapere: "C'è gusto a leggere tanto?" Allora lui deponeva il libro che stava leggendo, e cominciava a parlarle di romanzi e romanzieri famosi, di poeti e drammaturghi, e anche di qualche pensatore le cui idee facevo subito appisolare la sua ascoltatrice.
Ogni giorno lei scorreva le offerte di lavoro sul giornale, sottolineando quelle più interessanti e riproponendosi di telefonare l'indomani per sapere più precisamente di cosa si trattava. Ma dopo cena dimenticava tutto, anche le offerte di lavoro, andava a letto presto e faceva lunghissimi sogni.
E' venuto però il momento in cui i due compagni d'alloggio non avevano quasi più soldi, dovevano decidersi a guadagnarne. La giovane donna andava avanti con il magro prestito d'una sorella che abitava a Codogno, e lo studente ormai da troppo tempo viveva con i resti d'una borsa di studio, in attesa di trovare la sua strada nella vita.
Lo studente ha pensato che la cosa migliore per lui fosse di andare a vendere libri, così avrebbe potuto continuare a leggerne molti. Forse avrebbe anche potuto parlare delle sue letture con i clienti, e ricevere consiglio da chi avesse letto più di lui; questa era la sua viva speranza.
[CONTINUA]

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