venerdì 29 febbraio 2008

P. Levi: Nichel (3 puntata)

[SEGUE]

Lo stabilimento era costruito in cascata, lungo il pendio della collina e sotto l'apertura della galleria: in esso il minerale veniva frantumato in un mostruoso frantoio, che il Direttore mi illustrò e mostrò con entusiasmo quasi infantile: era una campana capovolta, o se vogliamo una corolla di convolvolo, del diametro di quattro metri e di acciaio massiccio: al centro, sospeso dal di sopra e guidato dal di sotto, oscillava un gigante batacchio. L'oscillazione era minima, appena visibile, ma bastava per fendere in un batter d'occhio i macigni che piovevano dal treno: si spaccavano, si incastravano più in basso, si spaccavano nuovamente, ed uscivano dal di sotto in frammenti grossi come la testa di un uomo. L'operazione procedeva in mezzo ad un fracasso da apocalissi, in una nube di polvere che si vedeva fin dalla pianura. Il materiale veniva poi ulteriormente macinato fino a ghiaia, essiccato, selezionato: e ci volle assai poco per appurare che scopo ultimo di quel lavoro da ciclopi era strappare alla roccia un misero 2 per cento d'amianto che vi era intrappolato. Il resto, migliaia di tonnellate al giorno, veniva scaricato a valle alla rinfusa.
Anno dopo anno, la valle si andava riempiendo di una lenta valanga di polvere e ghiaia. L'amianto che ancora vi era contenuto rendeva la massa leggermente scorrevole, pigramente pastosa, come un ghiacciaio: l'enorme lingua grigia, punteggiata di macigni nerastri, incedeva verso il basso laboriosamente, ponderosamente, di qualche decina di metri all'anno; esercitava sulle pareti della valle una pressione tale da provocare profonde crepe trasversali nella roccia; spostava di centimetri all'anno alcuni edifici costruiti troppo in basso. In uno di questi, detto «il sottomarino» appunto per la sua silenziosa deriva, abitavo io.
C'era amianto dappertutto, come una neve cenerina: se si lasciava per qualche ora un libro su di un tavolo, e poi lo si toglieva, se ne trovava il profilo in negativo; i tetti erano coperti da uno spesso strato di polverino, che nei giorni di pioggia si imbeveva come una spugna, e ad un tratto franava violentemente a terra. Il capocava, che si chiamava Anteo, ed era un gigante obeso dalla folta barba nera che sembrava proprio traesse dalla madre terra il suo vigore, mi raccontò che, anni prima, una pioggia insistente aveva dilavato molte tonnellate d'amianto dalle pareti stesse della cava; l'amianto si era accumulato sul fondo del cono, sopra la valvola aperta, costipandosi segretamente in un tappo. Nessuno aveva dato peso alla cosa. Lui Anteo la vedeva brutta, ed aveva insistito presso il direttore di allora perché provvedesse in qualche modo: da buon capocava, lui propendeva per una bella mina sommersa, da far brillare senza perdere tempo sul fondo del lago; ma un po' di questo, un po' di quello, poteva essere pericoloso, si poteva danneggiare la valvola, bisognava sentire il consiglio d'amministrazione, nessuno voleva decidere, e decise la cava stessa, col suo genio maligno.
[CONTINUA]

da: P. Levi, Il sistema periodico

1 commento:

Anonimo ha detto...

Perche non:)