lunedì 28 gennaio 2008

P. Levi: Nichel (2 puntata)

[SEGUE]

Il Tenente prese atto del mio consenso, e senza perdere tempo mi diede appuntamento in stazione per l'indomani. Preparativi? Non ne occorrevano molti: documenti no certo (avrei preso servizio in incognito, senza nome o con un nome falso, si sarebbe visto più avanti); qualche abito pesante, quelli da montagna potevano andare bene, un camice, libri se volevo: per il resto, nessuna difficoltà, avrei trovato una camera con riscaldamento, un laboratorio, pasti regolari presso una famiglia di operai, e colleghi buona gente, con cui peraltro mi raccomandava di non entrare in troppa confidenza per le note ragioni.
Partimmo, scendemmo dal treno e arrivammo alla miniera dopo cinque chilometri di salita in mezzo ad un bosco splendido di brina. Il Tenente, che era un tipo spiccio, mi presentò sommariamente al Direttore, un giovane ingegnere alto e vigoroso, che era anche più spiccio, e che evidentemente era già stato informato della situazione. Fui introdotto in un laboratorio, dove mi aspettava una singolare creatura: una ragazzotta sui diciott'anni, dai capelli di fuoco e dagli occhi verdi, obliqui, maliziosi e curiosi. Appresi che sarebbe stata la mia aiutante.
Durante il pranzo, che eccezionalmente mi fu offerto nei locali degli uffici, la radio diffuse la notizia dell'attacco giapponese a Pearl Harbor e della dichiarazione di guerra del Giappone agli Stati Uniti. I miei commensali (alcuni impiegati, oltre al Tenente) accolsero l'annuncio in varia maniera: alcuni, e fra questi il Tenente stesso, con riserbo e con caute occhiate dalla mia parte; altri, con commenti preoccupati; altri ancora sostenendo bellicosamente l'invincibilità oramai comprovata delle armate giapponesi e tedesche.
Il «qualche luogo» si era dunque localizzato nello spazio, senza però perdere nulla della sua magia. Già tutte le miniere sono magiche, da sempre. Le viscere della terra brulicano di gnomi, coboldi (cobalto!), niccoli (nichel!), che possono essere generosi e farti trovare il tesoro sotto la punta del piccone, o ingannarti, abbagliarti, facendo rilucere come l'oro la modesta pirite, o travestendo lo zinco con i panni dello stagno: e infatti, sono molti i minerali i cui nomi contengono radici che significano «inganno, frode, abbagliamento».
Anche quella miniera aveva una sua magia, un suo incanto selvaggio. In una collina tozza e brulla, tutta scheggioni e sterpi, si affondava una ciclopica voragine conica, un cratere artificiale, del diametro di quattrocento metri: era in tutto simile alle rappresentazioni schematiche dell'Inferno, nelle tavole sinottiche della Divina Commedia. Lungo i gironi, giorno per giorno, si facevano esplodere le volate delle mine: la pendenza delle pareti del cono era la minima indispensabile perché il materiale smosso rotolasse fino al fondo, ma senza acquistare troppo impeto. Al fondo, al posto di Lucifero, stava una poderosa chiusura a saracinesca; sotto a questa, era un breve pozzo verticale che immetteva in una lunga galleria orizzontale; questa, a sua volta, sboccava all'aria libera sul fianco della collina, a monte dello stabilimento. Nella galleria faceva la spola un treno blindato: una locomotiva piccola ma potente presentava i vagoni uno per uno sotto la saracinesca affinché si riempissero, poi li trascinava a riveder le stelle.
[CONTINUA]

da: P. Levi, Il sistema periodico

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