sabato 28 novembre 2009

diesel


Quello che direbbe Malinconico su Eugenio Finardi, se mai qualcuno glielo chiedesse (cosa improbabile)

Scimmia era la canzone che chiudeva Diesel, terzo album di Eugenio Finardi uscito nel 1977, cioè in un periodo in cui il movimento comunista, in Italia, era una cosa che non soltanto esisteva, ma aveva anche un senso, delle forme e delle gradazioni diversificate, per cui c'era chi occupava le scuole e le università facendosi due palle così in assemblee interminabili dove si fumavano centinaia di sigarette e qualche canna, chi aveva già iniziato a leccare i politici giusti e dunque stava intraprendendo la carriera solista, chi si drogava e non capiva niente e chi un anno dopo avrebbe sequestrato il presidente della Dc.
Se però lo scenario politico era piuttosto vivace e differenziato, lo stato musicale delle cose (essendo la musica una sorta di tesseramento mistico delle generazioni di sinistra) era piuttosto immobile. Nel senso che in quegli anni dominavano i cantautori, cioè musicisti di livello amatoriale che adattavano dei testi sproporzionatamente lunghi, e comprensibili a sprazzi, a delle partiture riproducibili con un paio di mesi di lezioni di chitarra.
La cosa incredibile è che, oltre a vendere camionate di dischi (alcuni dei quali contenevano un solo pezzo su un'unica facciata), i cantautori italiani potevano contare su un pubblico sterminato di depressi manierati che non solo imparavano a memoria i loro versi con una dedizione da talebani, ma li cantavano pure, facendo addirittura a chi si ricordava per primo la strofa più ostica. La cifra distintiva di questi artisti, tuttavia, non era l'impegno politico, che era implicito (infatti, quando nelle interviste domandavano a un cantautore notoriamente politicizzato: "Ma lei è un cantautore impegnato politicamente?", quello dava risposte tipo: "Cosa vuole che le dica, io scrivo quello che sento; scrivo per esprimere me stesso e le mie sensazioni: se poi questo sia impegno politico, non lo so"), quanto piuttosto la predominanza smaccata del testo sulla musica, che dunque finiva per costituire il valore aggiunto di un'opera letteraria minore con istanze di cambiamento del mondo.
In altre parole, il cantautore italiano della seconda metà degli anni Settanta era un militante politico senza tessera che aveva zippato le sue aspirazioni letterarie e/o poetiche nel file popolare della canzonetta tirata un po' per le lunghe (salvo, s'intende, qualche nobile eccezione, che negli anni ha dimostrato la propria eccezionalità, confermando la regola).
I cantautori - la verità - non è che piacessero poi così tanto (più che altro erano un modo di menarsela), tant'è che quando irruppe la disco-music (che va be', era una merda, ma almeno contemplava qualche prospettiva di leggerezza), i nuovi giovani non ci pensarono due volte a defenestrarli in cambio di un po' di divertimento e di qualche chiavata.
Finardi, malgrado la discografia, veniva iscritto d'ufficio fra i cantautori della sua generazione (anche perché s'impegnava politicamente), però, a differenza dei suoi colleghi, era un rocchettaro in pubblico incognito. Si scriveva i pezzi e li cantava, ma agognava una rock band, che ricostituiva a ogni disco, reclutando musicisti d'avanguardia. Diversamente dai suoi contemporanei, che suonavano seduti, facevano discorsi lunghissimi prima di ogni pezzo e al massimo erano accompagnati da un chitarrista di spalla e un suonatore di bonghetti, Finardi portava sul palco un complesso musicale al completo (chitarre elettriche, basso, batterie, tastiere) e ballava, zompava, faceva smorfie: esagerava, ma almeno si metteva in gioco. Cercava d'imporre il modello della rock band in un mercato dominato dalle chitarrine e dai bonghetti. Infatti fu il primo a indicare per nome e strumento i musicisti che suonavano nei dischi. Forse era questa, la sua vera idea di musica ribelle. Che infatti ha pagato.
Scimmia, da questo punto di vista, è la canzone di Finardi che meglio esemplifica la sua concenzione rocchettara del raccontare la vita per canzoni. Comincia in un modo talmente caustico e perentorio che potrebbe anche finire lì, avendo già esaurito il suo compito sul nascere:

Il primo buco
l'ho fatto una sera
a casa di un amico
così per provare


Una strofa del genere, per un'epoca in cui ogni trasgressione giovanile andava spiegata, politicizzata e compresa, ha la rilevanza probatoria di un'ammissione. Perché dice, coraggiosamente, la verità. Perché nega al gesto del buco il presupposto di una motivazione più alta. Lo abbassa al suo livello, quello del desiderio di provare. Che poi è la ragione per cui si fanno le cose.
Era questo che faceva la musica rock, quando esisteva (non oggi che accompagna le sfilate degli stilisti): dava del tu alla realtà. la prendeva di petto e la metteva in musica, senza attenuanti. E se faceva poesia, era incidentalmente che la incontrava. Quando ha perso questa funzione di svelenamento dei fatti, la musica rock è morta.
Oggi Finardi ha superato i cinquant'anni, e s'è rimesso a fare blues.

(Stamani su blip Alenoir ha messo Diesel di Finardi e poi l'ha commentata su FF. Io, che ultimamente ho il cervello in iperattività, figurarsi poi all'alba, mi sono immediatamente ricordata questo brano letto quest'estate in Portogallo e niente avevo promesso di trovarlo e metterlo da qualche parte, quindi eccolo qui. E ora già che ci sono vi dico anche che il libro di De Silva è carino e che tanto per cambiare me l'aveva consigliato tempo fa la Sidgi)


* Non avevo capito niente / Diego De Silva. - Torino : Einaudi, 2007. - 309 p. - (I coralli). - ISBN: 9788806189068

6 commenti:

elena (quella di londra) ha detto...

Tu fai proprio venir voglia di leggere, lo sai?

Alenoir ha detto...

mercì, e confermo quanto detto da Elena, quasi quasi lo compro il libro ;)

Anonimo ha detto...

Finardi è il personaggio più autenticamente alternativo della scena italiana. Ostinatamente, appassionatamente controcorrente.
Uno dei pochi che ama la Musica + del denaro.
Rocker

Unknown ha detto...

miodio che libro! che libro! che libro! quanto l'ho amato sto libro. sono a quota terza rilettura eh... e lo sai che ogni volta che lo rileggo mi pare di apprezzare parti che non avevo notato in quella precedente. bellissimo :)

simple ha detto...

Impossibile non metterlo nella lista di quelli da leggere presto.
:)

Anonimo ha detto...

Ne avevo sentito parlare ma non l'ho mai letto. Ora lo farò.

Grazie.
Nel brano che hai riportato c'è un vero pezzo di anni '70.

Parola di chi in quegli anni è diventato maggiorenne.