"Esaurimento?"
Non era tanto il fatto che non sapesse di cosa si trattava, perché lo sapeva, ne aveva parlato anche il Radiocorriere a proposito di una cantante famosa. Era più la circostanza che l'esaurimento nervoso sembrava essere una malattia da ricchi, una cosa di cui poteva soffrire qualcuno che dalla vita aveva già tutto, e, non sapendo cosa altro in più potesse avere o quale nuovo sfizio togliersi, si concedeva un bell'esaurimento nervoso. A Carmela riusciva difficile pensare che sua figlia, con un appartamento di tre stanze a via Cesare Sersale di cui faticava a pagare l'affitto, il lavoro di segretaria dattilografa a tempo pieno presso lo studio de Magistris e tutti i pensieri che le dava un bambino piccolo e non particolarmente riuscito come Peppino, potesse trovare il tempo e l'occasione per farsi venire pure l'esaurimento. Era un lusso del tutto ingiustificato.
"Esaurimento", ripetè quindi, approfittando anche del fatto che sua figlia di fronte a quella possibilità non aveva nemmeno aperto bocca. Il dottore annuì con forza.
"E' solo un'ipotesi. Basterebbe che incontrasse una volta uno psicologo, e ci facesse una chiacchierata. Poi sarebbe lui a decidere se occorre continuare."
"Se pensate... Dotto', noi la verità non conosciamo nessuno psicologo."
"Ne conosco io uno bravo. Sta alla Usl di piazza Municipio, che non è manco lontano. Però per funzionare, la signora, vostra figlia, deve essere convinta di volerci andare."
Rosaria per qualche istante non parlò. Poi, proprio quando Carmela stava per aprire bocca, la figlia disse solo:
"Ma questa cosa vuol dire che sto uscendo pazza?"
"No, signora Rosaria, assolutamente no. Vuol dire che state affrontando un periodo difficile. E che parlare con qualcuno vi potrebbe aiutare."
"Ma se questa non vuole parlare manco con me che sono la mamma!" intervenne pronta Carmela. Il dottore sospirò e si preparò ad affrontare l'argomento, e a spiegare alla signora Sansone madre che proprio perché il dottor Matarrese era un estraneo, e per di più nemmeno di Napoli, ma di Roma, fare quattro chiacchiere con lui poteva funzionare.
Rientrata a casa, più tardi, Carmela si mise immediatamente a cucinare. Tirò fuori un paio di chili di cipolle dal frigidèr e cominciò ad affettarle per preparare una bella genovese. Sua figlia sarebbe andata da uno psicologo. Non lo avrebbe saputo nessuno, tranne le persone strettamente coinvolte, vale a dire i suoi altri tre figli. Suo marito Pasquale fino a quando si poteva non doveva venire a conoscenza di nulla, non avrebbe capito, lui era, come dicevano tutti, "antico". Peppino era troppo piccolo. Antonio era un bravo ragazzo, e bisognava dirglielo comunque, ma la cosa la preoccupava. Quando si innervosiva suo genero tendeva a parlare troppo, e come ci si poteva fidare che poi al momento buono, magari a tavola, davanti a parenti del Nord e affini, non se ne uscisse con un "Statti zitta tu, che vai pure dal medico dei pazzi!"
Carmela affettava e affettava, e per quanto affettasse cipolle non riusciva nemmeno a piangere. Già vedeva sua figlia varcare la soglia dell'ambulatorio del dottor Matarrese per uscirne poi in camicia di forza, internata in una di quelle case di cura che stavano sotto al Vesuvio, lo sguardo da pazza, i capelli arruffati in testa, e la voce che non si capiva niente di quello che diceva, come la zia Antonietta quando a settant'anni aveva preso quel morbo suo. Sospirò. Carmela ne aveva passate molte nella vita. Aveva visto la guerra e conosciuto la fame. Si ricordava una sua amica di quand'era piccola che un inverno era morta di freddo, nel letto di casa sua, con le mani strette intorno al lenzuolo troppo leggero. Si ricordava il mercato nero e le grotte dove andavano quando bombardavano Napoli. Si ricordava quando non c'era la televisione. Si ricordava che erano stati così poveri dopo la guerra che una sera, a ora di cena, erano entrati i ladri in casa, e Pasquale senza scomporsi gli aveva detto: "Non teniamo niente. Solo questa pasta e fagioli. Se volete favorire..." I due ladri, che dovevano essere più affamati di loro, avevano favorito, e poi se n'erano andati ringraziando. Poteva dire di aver visto molto, e di sentirsi pronta a vedere anche di più. Ma questo, proprio questo, non pensava mai che avrebbe dovuto affrontarlo. Sua figlia sarebbe andata in cura da uno psicologo. Cominciò a soffriggere le cipolle e finalmente un paio di lacrime vennero giù.
* La kryptonite nella borsa / Ivan Cotroneo. - Milano : Bompiani, 2007. - 205 p. - (Narratori italiani). - ISBN: 9788845259883
Nessun commento:
Posta un commento